Quando la scrittura diventa una minaccia: casi di mobbing e stalking.

In genere si pensa alla grafologia forense come a uno strumento utile solo in caso di firme false o testamenti contestati. Eppure, esiste un campo molto più sottile, ma altrettanto delicato, in cui la scrittura può diventare una vera e propria arma: i casi di mobbing e stalking.

Qui non si tratta soltanto di scrivere: si scrive per colpire, per umiliare, per ferire. A volte con un biglietto lasciato sulla scrivania, altre con una lettera anonima infilata nella borsa o con messaggi ossessivi e inquietanti. La scrittura, anche quando è dissimulata o travestita, lascia tracce. Il compito del grafologo è quello di individuarle, leggerle, e farle parlare.

Il mobbing: la persecuzione sottile del quotidiano

Nel mobbing, le offese non sempre gridano: spesso sussurrano. Un post-it “dimenticato” con un commento sarcastico, una correzione scritta a mano su un documento comune con toni svalutanti, un messaggio lasciato sul monitor del computer che pare innocuo, ma che colpisce dove fa più male.

Il grafologo forense, in questi contesti, ha un compito triplice:

Attribuire la paternità della scrittura, quando l’autore nega.

Analizzare lo stile grafico come spia dello stato d’animo: rabbia, frustrazione, ossessione, sarcasmo.

Ricostruire la ripetitività di un comportamento ostile, utile a confermare una strategia persecutoria.

In molti casi, infatti, la scrittura tradisce più di quanto l’autore vorrebbe. Un tratto aggressivo, una pressione alterata, una firma affrettata: piccoli segnali che il grafologo può raccogliere e decifrare.

Stalking: scrivere per controllare

Nel caso dello stalking, la scrittura diventa lo strumento per esercitare un controllo costante. Lettere non richieste, messaggi d’amore insistenti, oppure frasi minacciose che arrivano su carta, su oggetti, su superfici diverse.

Chi scrive spesso tenta di camuffare la propria grafia: cambia inclinazione, usa la stampa maiuscola, scrive con la mano non dominante. Ma il gesto grafico è personale e radicato: qualcosa, quasi sempre, sfugge al controllo. Un dettaglio ricorrente, un modulo ripetuto, un ritmo del tratto che ritorna.

La grafologia forense, in questi casi, può:

comparare lettere anonime con scritture conosciute,

analizzare gli elementi stilistici non modificabili,

fornire una valutazione di compatibilità con un soggetto sospettato.

Scritture come prova: quando contano in sede legale

Perché una scrittura sia considerata prova in sede giudiziaria, è fondamentale che:

sia originale (non solo in fotocopia),

sia acquisita correttamente,

siano presenti scritture comparabili del presunto autore.

Il grafologo lavora con metodo: confronto metrico, analisi morfologica, verifica di spontaneità, osservazione del gesto grafico. Ogni tratto viene misurato, confrontato, contestualizzato. La perizia non è un’opinione: è una ricostruzione fondata.

L’etica del grafologo nei casi sensibili

Analizzare scritture in contesti di mobbing o stalking significa entrare in dinamiche complesse, a volte dolorose. Chi ha subito minacce o umiliazioni può essere fragile, disorientato. Il grafologo ha una responsabilità etica: accogliere, ascoltare e restituire senso ai segni.

Ogni perizia deve essere rigorosa, ma anche rispettosa. Non si tratta di “giudicare” chi scrive, ma di dare voce ai segni, perché possano essere letti da chi ha il compito di fare giustizia.

La grafologia forense, in questi casi, non è solo tecnica. È strumento di riconoscimento, di tutela, di verità. Perché a volte, per ricostruire la realtà, basta sapere dove guardare. E come leggere quello che gli altri non vedono.